martedì 3 febbraio 2009

LA VERGOGNA ISRAELIANA COPERTA DAI MEDIA


Angela Lano

Ieri pomeriggio e in serata, Israele ha ripreso i bombardamenti contro la Striscia di Gaza, adducendo, raccontano qui a Gaza, una menzogna: i razzi Qassam che nessuno ha lanciato.
La Marina da guerra ha bombardato la zona costiera di Gaza, mentre l’aviazione ha colpito l’ennesima stazione di polizia urbana, spacciata dalla propaganda sionista come “covi di Hamas”.
Gli F16 hanno sorvolato per diverse ore i cieli di Gaza City, annunciando, con il loro macabro suono, l’imminente attacco.
Le parole del portavoce del governo Hamas ci sembrano pertinenti: se Israele riprende le aggressioni, significa che non è interessata alla tregua (si veda l’articolo Governo Hamas: tregua a condizioni accettabili, pubblicato domenica 1° febbraio). È evidente che lo Stato ebraico conosce solo il linguaggio della guerra e degli eccidi, e che ha bisogno di sacrificare altri morti all’altare delle proprie, imminenti, elezioni. È altrettanto evidente che l’Occidente è complice di questa vergogna, i cui esiti sono sotto i nostri occhi tutti i giorni.

Ieri mattina ci siamo recati all’ospedale ash-Shifa, il più grande di tutta la Striscia di Gaza. Nel cortile ci sono alcune delle ambulanze bombardate da Israele. Poco più in là, è stato allestito un tendone-mostra con le foto dei feriti e dei morti giunti durante le tre settimane di genocidio, insieme a frammenti di missili di vario tipo usati dall’aviazione e dall’artiglieria. L’odore è pesante: ci sono pezzi di bombe al fosforo, proiettili all’uranio, bombe a frammentazione.
I cittadini entrano, osservano ammutoliti, piangono. È difficile trattenere la commozione mentre scattiamo foto, prendiamo appunti e ascoltiamo le testimonianze di chi ha perso tutto: figli, marito o moglie, genitori, parenti, casa.
Hanan, una signora sulla cinquantina, ci viene incontro e ci mostra la foto della sua abitazione demolita, sbriciolata dagli F16. Uno dei suoi figli è rimasto senza gambe. Abita a Sudania, un quartiere di Gaza City.
Zakya, un’anziana, ci indica la foto dei suoi cinque figli uccisi dalla furia omicida israeliana. È disperata, perché, vedova e senza più casa, non le è rimasto più nessuno.

Reportage da Gaza City,
Mentre raccogliamo le loro storie e quelle di tanti altri che nel frattempo ci hanno avvicinati, non possiamo fare a meno di chiederci su quale distorto e mostruoso “diritto a difendersi” si appoggi Israele mentre fa tabula rasa della vita umana. E di quale coscienza e intelligenza siano dotati i suoi àscari senza dignità in Europa – Italia in testa.
A fianco dell’ingresso principale dello Shifa, leggiamo il cartello: “Banca del sangue”. Ci sono molte persone che fanno la coda per donare il proprio sangue ai concittadini feriti nei giorni scorsi.

Entriamo nell’ospedale, sovraffollato, e ci accoglie il direttore, il dott. Ashura.
«Dopo il cessate il fuoco – ci racconta – Israele ha ucciso almeno altri 13 civili. Nei giorni di bombardamento indiscriminato abbiamo ricoverato 1926 feriti e ricevuto 658 cadaveri. Il primo giorno di guerra, il 27 dicembre, sono arrivate, in mezz’ora, ben 200 persone».

«Il totale delle vittime, su tutta la Striscia, è di 1366, di cui 430 bambini e 111 donne, ovvero il 40% dei morti. I feriti sono 5360, di cui 1870 bambini e 800 donne. Anche qui, donne e bambini costituiscono il 50% del bilancio complessivo. Il resto sono civili maschi adulti, e una minima parte di combattenti.
Nonostante l’alto numero di pazienti, siamo stati in grado di far fronte a tutto, grazie all’aiuto di Ong e organizzazioni civili. Circa 300 feriti sono stati mandati in Egitto per le cure mediche necessarie».
Aiuti. «In questi giorni di “tregua” abbiamo ricevuto molte medicine, che stiamo classificando per capire cosa ancora ci manca, ma crediamo che siano solo il 5% del fabbisogno. Ci mancano molte attrezzature per la cura del cancro e diagnostiche, di cui Israele impedisce l’entrata nella Striscia».

Armi di Distruzione di Massa. «Nel primo attacco contro i civili sono state usate armi DIME, piccoli ordigni nucleari. Tutti i feriti portati in ospedale presentavano arti amputati. Inoltre, molti presentavano gravi ferite, una colorazione della pelle sospetta. Un altro elemento che dimostra l’uso di armi non convenzionali è il fatto che gli alberi, intorno alle aree colpite, non sono stati distrutti. Le bombe non hanno avuto effetti sul pavimento, sul selciato, ma solo sui corpi, sulla massa corporea».

Analisi delle armi di distruzione di massa. «Noi non abbiamo tempo per fare analisi. Ma ci sono molti dottori stranieri che ci stanno aiutando. Sanno che siamo dalla parte della ragione, che siamo le vittime, che Israele ha commesso crimini di guerra.
Crediamo che non ci sarà stabilità in Medio Oriente senza la fine dell’occupazione israeliana. Gli Stati Uniti devono capirlo».

Usciamo dall’ospedale ash-Shifa, e, attraversata la strada, ci troviamo di fronte alle macerie dell’omonima moschea, completamente distrutta.
Si vede che anche qui c’erano i fantomatici “terroristi” palestinesi…

…………………

Khan Younes. L’albergo dove alloggiamo in questi giorni appartiene alla Mezzaluna rossa palestinese. È un’ampia costruzione di nove piani, con centinaia di stanze, molte delle quali destinate a 40 famiglie rimaste senza tetto a seguito dei bombardamenti israeliani delle settimane passate.
Nell’atrio c’è un piccolo contingente di guardie armate che vigila sulla sicurezza di tutti gli inquilini.
Quello della sicurezza è un problema molto sentito nella Striscia di Gaza, a causa dei violenti scontri tra fazioni rivali avvenuti negli anni precedenti, della presenza di criminali comuni e delle ripetute invasioni dell’esercito israeliano. Prima del “colpo di mano” di Hamas nella Striscia, nell’estate di due anni fa, l’area era preda di bande criminali e di squadroni di Fatah che scorrazzavano per le strade, compiendo atti di violenza e costringendo la popolazione a una sorta di coprifuoco. I giornalisti rischiavano rapimenti a scopo di ricatto o intimidazione. Ora, invece, la situazione ci appare piuttosto tranquilla.
Nei negozi troviamo cibo, frutta, verdura, carne, pane, acqua. È pur vero che in alcune zone ci sono ancora code nelle panetterie. La situazione, tuttavia, può precipitare da un momento all’altro: basta che Israele e l’Egitto impediscano l’entrata dei prodotti alimentari per qualche settimana.
In questi giorni di “tregua” traballante, rotta più volte da Israele e dal lancio di razzi da parte della resistenza – ieri dai bombardamenti della marina e dal sorvolare degli F16 –, la vita quotidiana si è rimessa in movimento. Nelle strade delle cittadine c’è traffico fino a notte inoltrata, mentre quello di giorno è frenetico. La gente esce di casa, va al caffè, chi può permetterselo, al ristorante.
La corrente elettrica è tuttavia garantita solo per un po’ di ore al giorno, e molti edifici sono illuminati grazie ai generatori. Nei bagni e nelle cucine l’acqua viene spesso a mancare, e non è garantito che sia potabile.

Distribuzione aiuti umanitari. Nelle cittadine e nella campagna della Striscia, le famiglie hanno bisogno di tutto.
Ieri, due membri della nostra delegazione italiana, Mohammad el-Abed e Daniele Parracino, in rappresentanza della Abspp onlus e dell’API, hanno distribuito decine di cartelle scolastiche con quaderni e matite, tonnellate di farina e pacchi alimentari, oltre a 10 mila euro a 67 orfani.
Nei giorni scorsi avevano consegnato due camion di bombole di ossigeno destinate agli ospedali di Gaza.
Questo genere di aiuti diretti, attraverso l’intermediazione delle associazioni caritatevoli locali, sono molto apprezzati dalla popolazione, perché viene garantita la consegna e impedito che fazioni o potentati politici corrotti ci lucrino, come invece accade spesso in Cisgiordania, con la gestione dell‘Anp di Abu Mazen.

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