Nello scrivere questo articolo ho preso spunto dalle sapienti parole di un autentico maestro, il professor Mauro Calise, mio docente di scienza politica, considerato tra i maggiori politologi al mondo ed autore del libro "Il partito personale" dal quale, non me ne voglia, ho preso spunto nell'intitolare quanto scritto.Ogni salto di campo, in politica, deve essere valutato individualmente. Perché può essere dettato da opportunismo, e quindi sarebbe da considerarsi riprovevole, ma può anche essere dettato da coerenza intellettuale, se non addirittura da lungimiranza, e quindi meriterebbe di essere studiato.
Il Galateo della buona politica vorrebbe che un parlamentare, ma anche un “semplice” consigliere comunale, nel momento in cui decide di abbandonare il proprio partito, rassegni le dimissioni e si presenti nuovamente agli elettori (artefici del suo status istituzionale) per spiegare le ragioni del suo gesto.
In un sistema multipartitico, passare dal proprio partito ad un partito “vicino” è un fenomeno che suscita un certo clamore, ma rimane circoscritto in un alone di “coerenza”. Mentre il passaggio ad un partito di una coalizione opposta, non suscita semplicemente clamore, ma addirittura “sdegno”. Un fenomeno che, per fare un parallelismo, accade sempre più spesso nel mondo del calcio, quando il calciatore amato, considerato la bandiera della propria squadra di calcio, passa nella squadra rivale, per motivi di ingaggi, sponsor, ma anche per maggiore visibilità, possibilità di ergersi ad idolo, "iconizzarsi".
E’ l’emergere dei personalismi. Un fenomeno questo, più sociologico che “politichese” o “calciofilo”. Viviamo in una società, fortunatamente libera (?), dove grazie ai media (blog, siti, pagine personali in chat, ecc.) ognuno può sentirsi “qualcuno”, tracciare e rendere noto qualcosa o molto di sé, sentirsi quasi una "star". Ma paradossalmente a quanto si dice, gli uomini oggi sono più soli di prima. Prima si rivedevano in “gruppi”, da qui i partiti per la politica, la squadra del cuore per i calciatori, e via discorrendo. Ora l’individuo si pone sopra ogni cosa, lui davanti e il gruppo come sfondo
.
Effetto del “berlusconismo”? Perché no? E’ la storia che ce lo racconta. Tanto tempo fa, negli anni “Avanti Berlusconi”, nacquero i grandi partiti, in una fase storica e politica che vedeva l‘avvento delle masse, le quali cercavano spazio nello stato, visibilità. Il partito era appartenenza, era la seconda famiglia, era l’unione che fa la forza. Anche lì c’era il leader, ma lì erano tutti “soldati”, perché il fine ultimo era il “bene comune”.
Poi, nel “dopo- Berlusconi”, nacque “il partito personale”. Lì c’era un’adesione simbolica con il capo politico, i grandi temi simbolici erano legati ad una persona. E con la grande disgregazione sociale, con la perdita dei luoghi naturali della politica e la chiusura delle sezioni dei partiti, la personalizzazione ha trovato linfa vitale. In politica, il legame stretto alla persona ci garantisce di soddisfare più facilmente i nostri bisogni, perchè "la persona" consente una più facile individuazione delle responsabilità. E quindi, alle elezioni, si vota la persona. Perché la persona
conta più del partito. E la gente si riconosce nella persona. Ed il partito? Rimane un mezzo, il veicolo attraverso il quale ci si può candidare.
Ed allora i “capoccioni” , i politici, con i loro seguaci più fidati, in prossimità delle elezioni (sottolineo “prossimità”) non si rivedono più nei partiti, ma nei comitati, quelli “ad personam”. Perché in Italia, sopravvive ancora una sorta si “tribalismo”, il mio clan contro il tuo clan.
E si passa da una parte all’altra, da un partito all’altro, perchè l’importante è raggiungere i propri fini, alla faccia di quegli ideali che, tanto tempo fa, negli anni Avanti Berlusconi, fomentavano i nostri antenati.
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