martedì 13 gennaio 2009

GAZA: Meglio non sapere



da Peacereporter


La censura e la propaganda sono le armi con cui si combatte sul terreno della verità

La verità è sempre la prima vittima di ogni conflitto. È un luogo comune che è valso per tutto il '900 e trova conferma anche in questi anni di guerre futuristiche, in cui la propaganda e la censura giocano un ruolo sempre più importante. L'aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza, però, evidenzia come la frattura tra i fatti e i resoconti sia sempre più grande. La verità su quel che accade è in tutto e per tutto un terreno di scontro tra Israele e Hamas, ma anche il prezzo di questo conflitto parallelo viene pagato dalla popolazione civile della Striscia. "La verità è stata raggiunta da tre nuove vittime: la decenza, la compassione e la vergogna", commenta Dimitri Reider, un giornalista israeliano piuttosto atipico.
Tra le vittime della battaglia nella Striscia dei giorni scorsi si contano un giornalista algerino e un cameraman della televisione palestinese, Ihab al Wahidi, noto per essere stato il preferito di Arafat. Altri reporter sono stati arrestati, ma soprattutto molti, molti ancora, non hanno potuto fare il proprio lavoro perché Israele ha bloccato l'accesso alla Striscia. Sabato mattina l'ex ministro dell'Informazione di quello che era il governo palestinese di unità nazionale, Mustafa Barghouti, ha condannato l'attacco israeliano che ha distrutto le Jawwhara media towers, che ospitavano 20 redazioni di tv e canali satellitari. Barghouti sostiene che questi attacchi fossero voluti, per "distruggere gli aquipaggiamenti che consentono alle immagini dei crimini israeliani nella Striscia di Gaza di raggiungere il mondo". "Aprite Gaza ai giornalisti" è anche l'appello lanciato ieri da Reporter Sans Frontieres, che definiscono la chiusura del territorio "indifendibile e pericolosa", perché si tratta di "eventi che riguardano tutti". Di "severa violazione della libertà di stampa" ha invece parlato l'Associazione per la Stampa Estera in Israele, che contesta la mancata applicazione del verdetto della Corte Suprema di Gerusalemme, che aveva affermato il diritto dei suoi membri a recarsi a Gaza. Una decisione poi bloccata dal ministero della Difesa del governo Olmert.
A compensare l'imprecisione delle informazioni dalla Striscia, ci pensa però la stampa israeliana e, in generale, il clima ostile verso la libera informazione che si respira in Israele. "Giornalisti stranieri sono stati arrestati e a diversi forum online è stato richiesto di rimuovere le conversazioni considerate 'pericolose per la sicurezza e il morale' dall'Idf (l'esercito israeliano, ndr.)" spiega ancora Dimitri Reider, il quale cita anche un parlamentare israeliano che aveva proposto di "chiudere al Jazeera e al Arabiya, per via dell'effetto demoralizzante che hanno sulla popolazione araba-israeliana". Reider sostiene che la stampa israeliana asseconda questo clima con "secchiate di autocensura", ad esempio la notte in cui Israele distrusse la scuola dell'Unrwa, uccidendo molti bambini: "i resoconti israeliani erano dominati dalla morte di un soldato israeliano. Sfogliando i siti si trovava tutto sui suoi amici, la sua famiglia, i suoi hobby e quanto gli piaceva stare nell'esercito. Solo scendendo a fondopagina si poteva constatare che 'I Palestinesi sostengono che molti bambini sono rimasti uccisi in una scuola', con il sommario che subito sparava: 'Idf: miliziani si nascondevano nell'edificio". Israele - conclude Reider - non è la Corea del Nord. Sull'altra sponda dell'incubo ci sono certi monumenti del giornalismo, come Gideon Levy e Amira Hass, e qua e là un po' di spazio viene concesso anche alle opinioni critiche, o persino antisioniste. Ma l'effetto sul pubblico medio è sconfortante: oltre il 93 percento degli israeliani ritiene che i media siano troppo liberali e dovrebbero invece essere più leali. Oltre due terzi sostengono completamente l'intera operazione, mentre i commenti sui forum abbondano di odio genocida".

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