giovedì 14 ottobre 2010

STORIE DAI CONTAINER, TRA DEGRADO E ABBANDONO

PREFABBRICATI SENZA ACQUA CALDA E SCARICHI NEI BAGNI
CALDI IN ESTATE E FREDDI D'INVERNO,FUORI TOPI E RIFIUTI

E L'INCUBO DELL'AMIANTO TRA LE LAMIERE VECCHIE 30 ANNI

di Gennaro Del Giudice

POZZUOLI. Assunta ha 43 anni, è separata dal marito, vive in un container insieme al proprio figlioletto di 5 anni. Il piccolo soffre di epilessia, convulsioni, ha seri problemi di salute. La struttura dove mamma e figlio abitano e fatiscente, tra le più disastrate del campo containers di via Carlo Alberto Dalla Chiesa. Una parte delle famiglie che hanno occupato queste strutture hanno reso vivibili le proprie abitazioni, raccontano do aver installato a proprie spese il dispositivo “salvavita”, pavimentato a terra, intonacato le mura, reso praticabili i bagni di containers costruiti oramai quasi trent’anni fa. Assunta non ha avuto la possibilità di aggiustare, di rendere abitabile e confortevole quella che sarebbe la sua casa. Il suo bagno non ha lo scarico, nella stanza da letto dove dorme insieme la suo piccolo ci sono tubature dell’acqua che posate lungo i muri, vicino ci sono i fili della corrente, gli impianti d’acqua ed elettricità sembrano quasi intrecciarsi. Le prese della corrente sono obsolete, alcune si mantengono con lo scotch. Non c’è nessuna caldaia, scaldino, Assunta prepara su un fornellino elettrico l’acqua calda per lavare il suo piccolo. Vive con l’incubo dell’eternit, dell’amianto, gli hanno detto che le pareti se bucate pure con un chiodo per mettere un quadro fanno fuoriuscire della polvere pericolosa. “Se ci faranno pagare anche la luce come faccio? Non ho soldi, a stento andiamo avanti, come farò” impreca la donna. Il suo piccolo come tanti altri che vivono qui dentro soffre di asma, una patologia che raccontano le mamme viene contratta da gran parte dei bambini. Si vive col timore dell’eternit, della presenza di materiali cancerogeni che prima o poi potrebbero dare spiacevoli sorprese. “Ci sono stati negli ultimi anni molti malati di tumore in questi containers, chi ci dice che non è dovuto all’amianto presente nelle mura?” dice Filomena che ricorda le scene di quando venne abbattuto uno dei containers proprio di fronte casa sua “Fu incaricata della rimozione una ditta specializzata, avevano mascherine, guanti, le lamiere le chiudevano e sigillavano prima di portarle via. Secondo voi perché? Perché era materiale pericoloso e a noi ci fanno vivere qui dentro”. Degrado, abbandono, che alla meglio i residenti riescono a sopperire “puliamo noi le stradine, togliamo le erbacce, ci sono topi, animali, insetti, mai venuti spazzini o giardinieri del comune, nessuno, facciamo tutto noi, abbandonati a noi stessi”.




























RAGAZZI CHE NON HANNO MAI VISSUTO IN UNA CASA, NATI E CRESCIUTI TRA LE LAMIERE
L'ATTESA DI UNA DONNA CHE HA VISTO NASCERE E SPOSARSI I SUOI 4 FIGLI NEI CONTAINER


Nati e cresciuti tra le lamiere di un containers, col sogno di una casa: Viviana, Maria, Veronica, Gioacchino, hanno tutti 19 e 22 anni. Da prima che nascessero i genitori sono qui, 25 anni vissuti con una speranza: avere una casa. Mamme e papà che mai avrebbero immaginato di vederli nascere, crescere e perfino sposarsi, in un container. Piano terra, il pavimento che tocca la base rocciosa della collinetta dove sorge il campo di Via Carlo Alberto Dalla Chiesa, quando piove l’acqua entra tra le fessure, in inverno fa freddo, in estate il caldo è torbido “Non abbiamo mai avuto la fortuna di vivere in una casa, per noi è triste” dicono in coro i 4 ragazzi. “Anche quando conosciamo qualcuno abbiamo vergogna di dire dove abitiamo, di portarli qua. Spesso quando ci chiedono dove viviamo diciamo Arco Felice, Sotto il Monte, ma mai diciamo realmente dove viviamo”. Una condizione oltre che di precaria vivibilità, che costituisce un forte contraccolpo psicologico per i tanti ragazzi che vivono in questi prefabbricati. La triste sensazione di “non vivere come gli altri” che li spinge quasi ad emarginarsi. Storie di vita che si intrecciano tra le 45 strutture containers a pochi metri dalla Caserma dei Carabinieri di Pozzuoli, teatro il 26 agosto scorso dell’omicidio del tappezziere Gerardo Orsetti. “Di noi si parla solo quando succedono accadimenti tristi, per il resto siamo dimenticati da tutti” dicono le donne del campo, riunitesi all’interno dell’abitazione di una di loro. Si stanno organizzando per la protesta di oggi, al comune di Pozzuoli. C’è unione di intenti tra loro, la sofferenza dilata i limiti della solidarietà. Tra le storie di vita che si raccolgono in questo triste angolo di Pozzuoli c’è quella della signora Giuseppina Basile, 61 anni, tra le prime occupanti dei containers. Attende che gli venga assegnata una casa, da quando giovane mise piede in uno dei fabbricati in lamiera. Nel corso degli anni, avere 4 figli l’aveva portata nelle parti alte della graduatoria per l’assegnazione. Oggi è rimasta insieme al marito, i figli trasferiti, la possibilità di avere un alloggio ridotta “Se non fanno appartamenti da 45 metri quadrati per me e mio marito non me la danno una cosa” dice “ Ho aspettato tanto e ora chissà se prima o poi avrò le chiavi di una casa in mano”.

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